Anna ha tentato di esplorare lo stupore e l’incanto che nasce dal vedere e dalla sempre nuova e indefinibile conoscenza che nasce dal sempre mutevole, ignoto e danzante incontro tra l’esserci e il mondo.

Questo passaggio di Dino Marangon nella monografia edita nel 1998 dalle Edizioni del Cavallino, ben evidenzia l’indole e la sensibilità di questa artista, la cui ricerca è sconfinata nel necessario superamento dei confini disciplinari tra le arti, perindagare e comunicare imprevedibili rimandi e significati.

Anna Rossettini, figlia di Vittorio Bevilacqua, socio della famosa ditta lagunare di tessuti preziosi “Luigi Bevilacqua”, e di Clara Venturini, nasce a Venezia il 6 maggio del 1940. Secondogenita di tre figli, dopo il liceo classico s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo patavino, conseguendo la laurea in diritto civile nel 1966. La scelta di tale indirizzo universitario viene dettata più dal desiderio di uscire da Venezia e di sfidare le convenzioni (all’epoca giurisprudenza era ancora considerata una facoltà tipicamente “maschile”), che da un effettivo interesse per la materia. Tuttavia, quella scelta determinerà comunque il corso della sua vita. Infatti, è durante il pendolarismo in treno da Venezia a Padova che incontrerà Franco Rossettini, anch’egli studente di giurisprudenza, che sposerà nel 1967. Con il matrimonio e la nascita della primogenita Cecilia nel 1968, inizia professionalmente un periodo di inquietudine e ripensamento. Esclusa senza alcun dubbio né successivo rimpianto la strada dell’avvocatura, si trasferisce col marito in un delizioso appartamento a San Silvestro, con veduta sul Canal Grande, dove abiterà per il resto della sua vita. Matura ben presto, parallelamente al doppio ruolo di moglie e madre, l’urgenza incalzante di un’autonomia professionale che la porta, in un primo momento, ad insegnare come supplente di lettere in un liceo e, di seguito, ad avviare la collaborazione con due diversi giornali: il quotidiano Avvenire e il settimanale Letture, per i quali scrive rispettivamente nelle rubriche di Cultura e di Teatro.

Ed è proprio l’interesse per quest’ultima disciplina che la spinge ad entrare in contatto con Giovanni Poli, fondatore del “Teatro A l’Avogaria”, e a frequentarne il corso partecipando allo spettacolo Le profezie.

Nei primi anni ’70 viene coinvolta attivamente nelle riunioni cittadine per un rinnovamento della scuola nell’ambito del dibattito pubblico, molto sentito in quegli anni, che approderà ai Decreti Delegati del 1974. I temi dell’emancipazione femminile, della libertà d’espressione e della responsabilità civile entrano a far parte del suo percorso esistenziale, attraverso le battaglie in ambito scolastico, sull’onda del rinnovamento culturale post ’68, fortemente presenteanche a Venezia.

In questo particolare momento storico, Anna riprende la ricerca spirituale che sortisce in lei una sincera adesione a certo cattolicesimo di sinistra che stava operando, anche con l’impegno politico, importanti trasformazioni nella società civile.

Nel 1975 nasce la seconda figlia Novella. Nello stesso periodo conosce Sonia Biacchi (ora Direttrice del C.T.R., Centro Teatrale di Ricerca) fondatrice del “Gruppo di Animazione Insieme”, attivo dal 1973 al 1982, con la quale inizia un sodalizio di amicizia e lavoro di animazione teatrale, soprattutto nelle scuole elementari e medie della laguna e del Veneto. Alcuni di questi percorsi sfociano in importanti realizzazioni, quali lo spettacolo Processo ad Arlecchino realizzato nell’ambito della Biennale Teatro diretta nel 1980 da Maurizio Scaparro. Di questa produzione, ripresa anche dalla televisione francese per la diffusione nelle scuole, Anna firma anche i costumi.

Sono anni fervidi di ricerche complesse e sperimentali che influenzano l’Italia nella proposta di quel teatro pedagogico e interdisciplinare – grazie anche a uno dei suoi più autorevoli esponenti come Franco Passatore – indirizzato verso un tipo di produzione innovativa, certamente scevra dagli schemi rigidi della società del tempo, che mescola le arti per uscire dalla tradizione.

Coinvolta nell’intreccio di tali dinamiche, con interesse mai dispersivo, Anna nel frattempo diventa allieva e amica del danzatore e coreografo francese Roger Ribes, la cui scuola di danza moderna apre la sede proprio in uno degli spazi laboratoriali del Centro teatrale dell’amica Sonia Biacchi, sul Canale della Giudecca.

La danza finisce così per essere non solo consuetudine quotidiana ma vivo interesse e suggestione poetica. Anna partecipa anche ad una performance, commissionata dal C.T.R. a Laila Minder, coreografa del Teatro alla Scala di Milano, ispirata al mitico Balletto Triadico di Oscar Schlemmer, indossando il noto costume “Il Guerriero”.

L’insieme di queste esperienze, le relazioni umane e le passioni condivise sono gli indispensabili prodromi e apripista artistici per la strada che porterà Anna Rossettini a concentrare le sue energie, gradualmente e con chiarezza crescente, verso la propria reale vocazione: il dipingere.

Per approfondire la sua formazione s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove frequenta dal 1980, la “Scuola libera del nudo” tenuta da Luciano Gaspari.

Luciano diventa maestro generoso e grande amico di Anna, e di tutta la sua famiglia, a cui aprirà le porte non solo del suo Studio ma anche della suggestiva dimora condivisa con la moglie, la raffinata pittrice Bruna Gasparini.

Grazie all’entourage culturale di Gaspari si moltiplicano da quel periodo le frequentazioni con diversi artisti veneziani, tanto da schiudere senza soluzione di continuità condivisioni, amicizie e stimoli inaspettati.

L’Anna ‘pittrice’ viene alla luce grazie all’attenzione di Paolo Cardazzo che scopre i suoi primi lavori frequentandone lo studio, allora vicino a Campo San Luca, e alla sensibilità di Dino Marangon, il critico che sa scorgere e tradurre con la giusta empatia il percorso evolutivo dell’artista. Da questi incontri e confronti nasce la prima esposizione personale nel 1989 alla Galleria del Cavallino di Venezia. Il lessico di Anna, ormai superato il figurativo, volge progressivamente lo sguardo verso quel patrimonio culturale pittorico fatto di archetipi e figure primordiali, ripensati e ritradotti tanto da acquisire significati nuovi e inconsueti. Il prestigio del Cavallino e la sua vocazione nel tenere a battesimo, dal 1942, correnti artistiche innovative, come il movimento dello Spazialismo – promuovendo importanti protagonisti italiani e stranieri della scena contemporanea – funge da luogo ideale per darle il giusto abbrivio nel liberare i suoi percorsi successivi, come “pensieri che vanno’” per “organizzare nuovi equilibri”, come annoterà lei stessa.

Sono gli anni in cui la sua potenzialità espressiva gioca con un raffinato mélange di tecnica mista, sostanzialmente materica, tra pigmenti e terre, colle e mastici, esili carte colorate applicate sulla tela; una sorta di ricerca alchemica della casualità, attraverso la metamorfosi dei materiali mentre si asciugano all’aria.

Verso la fine del 1992 gli sviluppi della sua indagine pittorica rivelano altre valenze: l’esito di un cammino intimo e spirituale che focalizza il rapporto tra l’uomo e il sacro. Gli studi relativi alle opere Crocifissione di Masaccio e Cristo morto sorretto da due angeli di Giovanni Bellini la portano infatti ad approfondire tematicamente un passaggio cruciale, stilistico e autobiografico assieme, che sfocia nel ciclo Ecce homo, una serie di opere scevre da facili speculazioni prettamente liturgiche o religiose, rivolte piuttosto verso l’esplorazione del divino, con le sue infinitesfaccettature trascendenti che oscillano tra mistero e segreto.

L’occasione per esporre ex novo questa serie di lavori arriva nella primavera del 1993, presso la Galleria Vismara Arte di Milano, la seconda Personale dell’artista. È l’inizio di un tenace sodalizio con Zita Vismara, energica e concreta gallerista e poi amica, grazie alla quale espone presso l’Art Frankfurt nel 1994, l’ArteFiera di Bologna l’anno successivo, nonché nuovamente alla Vismara Arte, in occasione del trentennale della Galleria. In quest’ultima mostra Anna può confrontarsi con esponenti dell’arte contemporanea internazionale, tra cui Fontana, Honnegger, Fruhtrunk e Manzoni.

Gli anni ‘90 rappresentano per lei un ulteriore rinnovo di declinazioni e prospettive, una fase artistica dove l’ispirazione creativa giunge marcatamente anche dalle opere degli Spazialisti, soprattutto Bacci, Tancredi e Gino Morandis. A questo si aggiunge la forte rievocazione dei preziosi tessuti che aveva visto realizzare nella fabbrica paterna, al punto da farle concepire grandi lavori policromatici sul cui supporto in tela compone o cuce delle carte colorate. Ed è nuovamente Paolo Cardazzo a spronarla per realizzare queste “Carte”, sorta di grandi arazzi con cuciture seriche, esposti alla Personale del Cavallino nel 1994. In questa sorta di trame, rammendate da ricordi, emergono tasselli di vita, frammenti emozionali che, forse per la prima volta, ricongiungono tracce del passato con la coscienza del presente. Nello stesso anno lo studio si trasferisce in un elegante Palazzo in Campo San Barnaba – oggi sede dell’Archivio – assieme a quello del marito avvocato, suo primo appassionato sostenitore.

Caricata di rinnovati confronti e relazioni professionali, Anna libera ulteriormente la sua necessità di rinnovamento. L’atmosfera dilatata del nuovo studio le permette di osare con maggior libertà il gesto pittorico, di porre le basi per i nuovi lavori: grandi carte intrise di colore e resine. Il tema diventa fortemente autobiografico, esistenziale, dedicato alla trasposizione visiva dell’amore per la ‘sua’ Venezia, città natale e testimone silenziosa del suo evolversi come donna, moglie, madre e artista.

Purtroppo, nell’autunno del 1995 una grave malattia la coglie inaspettatamente e per alcuni mesi le impedisce di lavorare. Al grande dolore per tale circostanza si affiancano comunque momenti di speranza, come il matrimonio della figlia Cecilia che viene festeggiato nello studio.

Una ripresa di nuove energie ridona all’artista l’occasione di esporre le opere concepite poco prima di ammalarsi. Nell’autunno del 1996 Palazzo Albrizzi, splendida sede del Centro di Cultura Italo-Tedesco, viene scelto quale luogo deputato per l’esposizione Anna Rossettini, pittrice dell’anima. Mai titolo cosi evocativo poteva essere scelto per quest’ultimo e memorabile allestimento. L’avvio concreto di una collaborazione con la Galleria Venice Design e la richiesta ufficiale per esportare la mostra a Wolfsburg, in Germania, nell’autunno successivo, saranno i prodromi per far viaggiare le opere dell’artista.

La nascita dell’adorata nipotina Agnese, nella primavera del 1997, porta un alito di gioia e alimenta le speranze. Purtroppo la malattia si ripresenta e l’aggravarsi delle sue condizioni la costringono a lavorare a casa, pur di non sospendere il suo vivere per e con l’arte. Si fa portare quindi colori, carte, filo di seta e come un’antica ricamatrice, ‘cuce’ in poltrona le sue ultime “cartine”, necessariamente di piccolo formato.

Muore nel febbraio del 1998.

Nello stesso anno esce la monografia edita dalle Edizioni del Cavallino, che lei stessa aveva ideato con i suoi mentori, Paolo Cardazzo e Dino Marangon. Per l’uscita della pubblicazione Paolo organizza una piccola esposizione nella sede della casa editrice. Ai numerosi amici e familiari presenti, accorsi numerosissimi per quella che di fatto diviene la prima retrospettiva dell’artista, insieme al catalogo viene regalata una sua “cartina”. Alcune di queste sono opere incompiute.